Tecniche avanzate di invisibilità

Prendere il treno per andare a lavorare.
La misantropia del primo mattino, seppur compensata da un indispensabile minimo di buona educazione, é un diritto.

Prendere atto che i propri occhi sembrano impanati nella sabbia, che i minuti avanzano lenti trasformandosi da attesa in ritardo, che certamente perderemo la coincidenza, che sará un’altra mattinata incredibilmente calda, che in fondo non ce la possiamo fare, é una cosa che andrebbe fatta in santa pace.

E invece ogni mattina é una lotta.
Ho esplorato tutte le possibili soluzioni utili ad evitare chiacchieroni di prima mattina, persone conosciute e inspiegabilmente vogliose di penetrare i misteri della mia quotidianità o del mio status sociale, civile e talvolta anche psichico. Individui che partoriscono, tra un annuncio gracchiante e l’altro, quelle domande fondamentali, quasi esistenziali, che tu ti fai ogni giorno da vent’anni. Tipo: “ti trovi bene (al lavoro)? O quelle domande che percepisci come percepiresti i filamenti di una medusa all’interno del braccio. Tipo: “ti sei sposata? (dopo essersi, l’inquisitore, accertato con un rapido sguardo della lapalissiana nudità del tuo anulare sinistro).

Le ho provate tutte, dico. Ma è dura.
La missione inizia sul marciapiede del binario. 

Arrivare all’ultimo minuto salendo dalla scala opposta a quella che salgono tutti, ragionevolmente, poiché tutti protendono per la direzione ottimale. Quella che non ti obbliga ad appenderti al predellino posteriore del convoglio tipo indiano che assalta la carovana. 
Oppure arrivare presto e fare un chilometro a piedi (in direzione ottimale) e far finta di contemplare l’ultimo palo dell’alta tensione a disposizione, prima che il marciapiede si inabissi inesorabilmente nel piano di asfalto, ferro e sterpaglie.
Nella speranza che il regolare e fluente incedere silenzioso passi inosservato come un refolo di vento tiepido tra la gente disseminata sulla via.
Quello che certamente non é da fare, é entrare in scena nell’orario medio, nel quale occhiali scuri, maldestre finzioni al telefono e immaginari pruriti alla caviglia, non garantiscono affatto di evitare il fatale sguardo che, inesorabile, ti aggancia.
Ma Loro non ce l’hanno sonno? Non hanno bisogno di quell’oretta di pseudo-oblio, di sacro standby, di legittimo limbo cognitivo? Non sentono la necessità di un lento e graduale passaggio dal sottile ticchettio interno ai rumori della vita moderna?
Se ti dico un“ciao” sorridente e riabbasso lo sguardo subito o non faccio nemmeno il gesto di togliere uno degli auricolari (di un ipod assolutamente strategico e spesso anche spento), perché insisti? Perché non capisci che nel mio schermo mentale ancora fluttuano le onde dell’inconscio? Perché srotoli uno stillicidio di concetti inutili mentre io sono ancora intenta a fare la conta di sicurezza di tutte le cose indossate, di quelle prese e di quelle dimenticate?
Perché parli forte mentre io ancora dormo?
(Perché parli ad una persona che dorme?)
Il mattino è tenue. E non c’è spazio per volumi sfacciatamente diurni.
Il mattino è rarefatto. E non lo si può coagulare in un istante, facendolo precipitare su domande quadrate e fondamentalmente vuote.
Il mattino è ancora una terra di mezzo. Non potete farmi salire in superficie a questa velocità. Non potete.
Poi, dicevamo, arriva il treno. La gente si muove.
Le curve di invisibilità, attentamente create facendo un immaginario slalom tra i passeggeri in attesa, all’improvviso ondeggiano. Si incrociano, si fondono, si scindono di nuovo, originando losanghe di pericolo. Come delle zone rosse bislunghe, tra le quali scivolo cercando di fissare l’attenzione sul crescente rumore della ferraglia che precede l’arresto del mezzo. Come se tutti facessero la stessa cosa e fossero quindi troppo impegnati per scorgermi.
In effetti, l’arrivo del treno è un momento di caos in cui tutto si confonde. Ma, anche, in cui tutto torna possibile.
Gli sguardi degli altri, lungi dall’essere linee rette tipiche, invece, della volontaria focalizzazione su un obiettivo, sono come bolle irregolari ad andamento caotico e dall’ampiezza direttamente proporzionale al grado di attenzione del soggetto, che si muovono, si scontrano, si compenetrano: si possono vanificare 7 minuti di totale invisibilità con un imprudente voltarsi o con un’infelice scelta del vagone su cui salire.

[13 Luglio 2011 – il treno ha finalmente preso una velocità decente. A quello di fronte a me ciondola la testa da un pezzo. Improvvisamente ho sonno. Continuo dopo. Oppure domani.]

Alla fine non ho continuato. Sono decisamente paganiniforme.

4 pensieri su “Tecniche avanzate di invisibilità

  1. e tu digli che non hai tempo perchè ti devi depilare…. come sempre!!!
    A proposito, ma ti sei sposata? Ti trovi bene al lavoro? ma sei proprio una poliziotta! cioè ma con la pistola? cioè ma proprio così?
    ma tu sei pazza a chiedere il trasferimento!
    Non ci sono più le mezze stagioni!

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