La scusa è quella di una salute incerta.
In realtà è uno di quei sabati.
Quei sabati che ce n’è uno, massimo due, all’anno.
Le cose da fare sarebbero tante.
Dentro e fuori casa.
Ma non riesco a fare, non riesco a leggere, non riesco a pensare, non riesco a volere n i e n t e.
E’ bello girare a vuoto, cedere all’inerzia.
Camminare lungo un’incerta direzione che si frammenta, decade, guizza in improvvisi riccioli e delicatamente sposta placide folate di niente.
L’attenzione acquisisce ulteriore profondità e gli occhi si posano su spazi inconsueti, angoli dimenticati, vuoti che paiono in realtà molto pieni.
Una lancia di luce spacca la penombra e osservo con una certa apprensione il pulviscolo che danza per aria.
Distolgo lo sguardo e mi butto sul divano, gli occhi al soffitto.
Poi di lato.
Gli oggetti all’improvviso diventano sconosciuti, i parametri si alterano, le poche certezze si sfaldano e il processo mentale torna dritto all’infanzia.
Una soffice nuvola di meraviglia nutre il mio cuore e la giornata acquista un senso.
Mi alzo.
Vado fino a metà corridoio, ma poichè non ricordo dove stavo andando, torno indietro e mi risiedo.
Ecco.
Il dialogo con un presunto malessere fisico è una sfida: a chi riesce una maggior sfiancante lentezza.
A volte vinco io.