Memorie (2006)

Nella dispensa, dove giocavo sempre, c’era un mondo tutto mio.
Ero irresistibilmente attratta dal mistero del buio e degli angoli.
L’imperscrutabile aura degli spazi confinati, dei segmenti di materia – confini appunto – che mi attraevano come se, anziché un limite tangibile, celassero porte per altri spazi che non potevo vedere e che intuivo o generavo con la fantasia.
Per me il muro non finiva lì.
E l’angolo era l’ingresso di un altro mondo.
Avrò avuto, allora, circa 5 o 6 anni.

A distanza di tanto tempo, ho sfondato il muro introducendomi negli sguardi e ho penetrato gli angoli sviscerando le esperienze.
Il gioco è ancora quello: una caccia al tesoro dove il premio è la scoperta dell’invisibile che precorre e sostiene il manifesto.
E che è reale come e più di quanto non lo sia
ciò che gli occhi possono vedere.

“Per quanto queste immagini possano essere deboli nell’uomo fisico vivente, esse tuttavia esistono, e lo accompagnano come germi di desideri, così come la cometa è accompagnata dalla sua coda”
(Rudolf Steiner, L’Iniziazione, 1946)

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