Solo io

Bene. Sono quasi le 22, sono sperduta nella campagna piemontese in un posto che pare magnifico (è buio) ed ha il suono di un rigagnolo, di qualche grillo, qualche ranocchia, sembra, lontana e di alcuni fievoli occasionali rumori del mio intestino.
Sono seduta fuori nella parte antistante l’ingresso di questa cascina. Ci sono degli arredi carini, semplici. Un tavolino di ferro e marmo, qualche poltroncina e un divanetto di vimini. Se mi muovo troppo – come quando allungo il braccio per centrare il posacenere – si accende la luce. Una luce intelligente, a tempo, con fotocellula, contro gli sprechi.
Mi sono fatta una sigaretta a mano: in un posto così pare stonato accendersene una già fatta, “commerciale”. Sarà ipocrita come osservazione – e come scelta -, ma seguo l’onda. La mia onda.
Internet non funziona. O meglio, funziona a rilento. A rilentissimo. E la batteria è quasi scarica e non mi sembra il caso di insistere. L’unica cosa che posso fare è scrivere qualcosa prima di andare a dormire.
Anche la musica sarebbe un di più, mentre ascolto rumori di insettini tra il fogliame e questo ipnotico gorgoglio d’acqua.
Ho un certo timore verso questo silenzio. E non parlo di silenzio acustico.
Ho sentimenti ambivalenti. Si fa un gran dire (non io) che certi viaggi si fanno da soli. Si.
Ma un po’ di incoraggiamento non guasterebbe.
Ho timore a fare quello che voglio di più al mondo fare. Non sarei sincera se non fosse così. Probabilmente farei finta, come ho fatto altre volte.
Il vero lavoro, al di là di quello che accadrà con gli altri, lo comincio stasera, da sola.
Anche se, ad essere sincera, quando certi mostri personali non si palesano, questa dimensione sacra mi è affine: la conosco da una vita, e ci sto bene dentro. Anche se era un pezzo che non me la permettevo.
Credo che i momenti più simili a questo io li abbia vissuti nell’infanzia. Quando tranquilla giocavo con le mie cose semplici, povere, essenziali: pietre, piante, pezzetti di legno, l’acqua del torrente. Giocavo in silenzio, e, mentre cercavo il perché delle cose con viva curiosità, sapevo che tutto era così perché tutto era così. Semplicemente.
Diciamo che da piccola ero più sveglia.

Sto entrando in uno spazio delicato, nel quale si entra piano piano, e dal quale dovrò uscire piano piano. Cercando la forza di farne una vera conquista, senza scaricare tutto subito alla prima chiacchierata.
Per non rimangiarmi tutto ciò che ho detto, dovrei pubblicare sul blog.
Non ne parlo di sicuro con nessuno in questo contesto. Non ora, nè domani.
Non so se riuscirò con i mezzi che ho a disposizione.
Se non riuscirò stasera, pazienza. Resterà solo una cosa mia.
Buonanotte
Soror …. (sento che in questi giorni troverò il mio Nome)

Il Gatto Esteriore

Vorrei ritirarmi in un eremo e restarci per un po’.
Una versione creativa delle pulizie di Pasqua.
Ci vorrebbe un viaggio lontano. O forse non uscire di casa per una settimana. Mah. Ci devo pensare.

Aprire la diga e lasciare che l’acqua si muova finalmente.
Staccare i vecchi depositi, creare nuovi vortici e liberare la corrente.
Vorrei entrare nella grotta per scoprire da dove vengo.
E tornare alla luce con nuovi segni sul volto.
Vorrei capire perché ci ho messo tanto tempo a sentire vera la Domanda che è esplosa spontaneamente quando meno me l’aspettavo, e vorrei sapere perché, dieci anni fa, fui costretta a pormela anzitempo, senza essere pronta a cercare una risposta. Creandomi ansie da prestazione mica da ridere.

Vorrei capire perché mi sono ostinata a cercare fuori quello che posso trovare solo dentro, rendendomi dipendente, debole e paurosa.
Se c’è qualcosa (la sola) di cui posso aver paura quella sono io quando sono assente di me (Thanks a Battiato per la parziale citazione).
Se c’è qualcosa (la sola) di cui posso servirmi generosamente e legittimamente, quella sono io quando sono a piombo e mi ramifico senza fine nel Tutto.

Ora, il rituale più difficile: fare amicizia con l’agire.
Sto per trasformarmi nel Gatto Esteriore.
Il Gatto completo, ineffabile, globale, universale sempiterno.
(Se la fatica non mi schiaccia, però. Che fretta c’era? Maledetta primavera!).
Miao.