Nel tempo mi sono sempre definita molle come un budino, fifona, assoggettata all’idea che ho dei desideri altrui, dipendente, accondiscendente fino alla spersonalizzazione, impressionabile come il fango fresco.
Una smidollata insomma, che ha perso un sacco di tempo.
Oggi, guardando agli anni passati, tra percorsi incerti, cumuli di errori, botte di culo e dignitose forme di impegno, scopro dei meriti. Meriti e, soprattutto, una peculiarità costitutiva.
Sono resistente. Sono robusta di una solidità plastica ed adattabile, e per quest’ultima caratteristica, praticamente invincibile.
In realtà lo siamo tutti. Ma io ora ne sono cosciente.
Scopro che alla fine, vendutami per bisogno di amore, sacrificatami per errate convinzioni, oppressa per insufficiente potere, sono sempre rientrata nella mia forma, come uno spesso elastico, come il grosso nervo di una bistecca, come un pezzo di plastica gommosa indistruttibile, mai degradabile se non alla fine fisiologica della propria funzione.
Modificata funzionalmente e quanto basta dall’esperienza che fa crescere, ma sempre fedele ad un’identità profonda, misteriosa anche per me: un qualcosa di duraturo, affidabile, capace di trasformarsi, ma inestinguibile.
Persistente e tignosa come la coda di un profumo invernale, intensa (e spesso irritante) come un piatto speziato, autorigenerante come un materiale di ultima generazione che basta buttarlo in acqua bollente per farlo funzionare ancora.
Non è facile abbattermi.
Cado ma mi aggiusto durante il volo.
Nel mio caso, quando si parla di spirito eterno, credo si tratti di questo.
Dell’indole permanente, del grumo di energia primigenia, che uno sguardo attento riesce a percepire dietro rughe, debolezze ed altri vezzi dovuti all’età.
Buon mercoledì, gatti.