Mi perplimo di venerdì pomeriggio

Non mi sento a casa da nessuna parte. E ne soffro.
Contemporaneamente emerge la mia vena nomade.

Ho paura di non essere mai all’altezza delle cose.
E mi ritrovo spesso in situazioni nuove.

Mi pare di morire senza dei punti fermi.
E mi getto nel vuoto come sospinta da qualcosa che non sono io ma che mi manovra da dentro.

Di tutti gli “io” che ospito, fosse quella cosa dentro – che spinge – il più saggio?

Ciao

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Ho avuto due blog in tutto. Questo è il secondo e l’ultimo.
Il primo ha fatto una brutta fine a causa della mia mentalità rituale del “fare fuori per cambiare dentro”: l’ho cancellato per voltare pagina.

Altri tempi, altra età. Nessun giudizio. Andava bene così.
Ora sono cresciuta (molto in età, mai abbastanza di coscienza) e sono maggiormente in grado di sostenere errori, vergogne e qualunque altra lagna che potete trovare qui sopra.
Non cancellerò il sito.
Ma cambio aria.

Non so quanto tempo passerò ancora in silenzio stampa.
In ogni caso, ci fosse qualche interessato alle mie elucubrazioni (non si sa mai) scriva l’indirizzo email nei commenti o se preferisce a gattointeriore-at-yahoo.it.
Non mancherò di comunicare l’eventuale nuovo indirizzo web.
Intanto grazie, grazie, grazie per questi 7 anni di condivisione virtuale.
Tutto finisce.
E se non finisce, necessariamente cambia.
Un abbraccio dal Gatto Interiore.

Atlantide

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E un giorno, senza preavviso, arriva il mattino a scostare il sipario polveroso e pesante.
Il sole irrompe. Sano, forte, fastidioso come una medicina necessaria e sgradita.
Troppi giorni di sola notte, davvero troppi.
E la natura ristabilisce bruscamente ciò a cui tende: un sano equilibrio.
Notti tranquille e giorni luminosi.

Nella vertigine e nel caos che preannunciano la guarigione,
inizia già una specie di frescura all’interno.
Il respiro diventa azzurrino, leggero, ampio e frizzante.
Parti del corpo non percepite da tempo pulsano, vibrano, tornano a vita.

Si arriva a questo.
Si arriva a questo, si.
Riconquistare parti perdute.
Riscoprire continenti dimenticati.
Ritrovare l’Atlantide di sé.

Buonanotte gattacci.

Una timida singolarità

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Agli amici. Agli sconosciuti gentili.
Agli irritanti, ai maleducati, a chi lo fa apposta,
a chi non lo fa apposta.
A chi sa e a chi non sa, a chi pensa male, a chi crede.
A chi si fida, a chi si impegna, a chi non si cura.
A chi c’è, a chi non c’è, a chi osserva da lontano,
a chi da uno schiaffo, a chi stringe forte.
A chi sprona, a chi ostacola, a chi danneggia, a chi aiuta.
A chi prova, a chi fa, a chi rinuncia.
A chi resta e a chi fugge. A chi guarda, non visto.
A tutto quello che c’è e a tutto quello che non c’è,
al di là da ciò che si crede di volere.
All’essere, al non avere, al pieno
e al vuoto – più sacro di ogni altra cosa.
Al cielo, alla terra, all’acqua, al sentire.
Al dubbio, all’eterna saggia incertezza.

Per tutto c’è una sola parola.
Grazie

Salpare senza bussola

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Ci sono giorni inqualificabili.
Pare non succeda niente e invece no.
Osservi, leggi, pensi cose che hai ritenuto vere per lungo tempo e improvvisamente ti senti in mezzo alla fiera delle banalità, al discount dello scontato (figurati se non faccio un giochetto di parole), al mercato del wannabe.
Percepisci la noia del solito, dell’abitudine, la tigna della regola limitante ed obsoleta.

Resta solo da appurare – fosse poco – se hai cambiato la rétina come la biscia cambia la pelle, o se invece ti stai difendendo con le più audaci scenografie mentali mai inventate.
Lo scopriremo solo vivendo.

La tentazione di concepire frasi ad effetto da estrapolare per fare audience sui social ha la forza di un budino.
Non mi riconosco più.
Il sentire si trasforma. E nulla è più come prima.

Chi si muove spesso si ferisce, sanguina, si arena. Si rianima, poi, in qualche modo, e ricompone la cifra cambiando rapporti, proporzioni e segni.
Normalmente il totale ha un valore maggiore rispetto al precedente.
E si riparte.
Ma bisogna abituarsi.
Pian piano.

Pian piano si fa tutto.

Arriva il momento in cui molli tutto e scegli la deriva, scoprendo che non è affatto spaventosa. Anzi.
È Potenza pura.
Nonostante spiacevoli residui ed ostinate resistenze.
Magari se lasci fare, trovi la corrente giusta.

Queste parole arrivano direttamente da una languida fase di pre-sonno.
Fosse questa la dimensione della vera realtà?

Se vi dico buonanotte, è banale?
No.
Fate una buona notte.

Propizio è attraversare la Grande Acqua

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L’I Ching è una cosa immensa, difficile da decifrare.
Tremendamente affascinante.
Forme verbali sibilline, universali, applicabili ad ogni cosa.
Segni archetipici che spiegano il Mondo e l’Uomo con gli Elementi.
E Dio solo sa cosa fa la Montagna sotto il Lago.
O chi diavolo è il Nobile.
(E Dio solo sa quanto in fretta chiudevo il libro quando leggevo grande sciagura..).
Oggi, “senza macchia”, accetto gli ostacoli naturali annunciati da quell’oracolo
che da voce a chi sono, mentre altrove, con le solite maschere recito parti di un teatro obsoleto.

Le monete girano prima di cadere, il Libro si apre. E senza indugio mi leggono in profondità, perforando come un laser gli spessi strati della mia mente dilettante.

Propizio è attraversare la Grande Acqua in questo mio tempo.
Passare oltre, attraverso un cambio radicale. Superare i limiti.
Nulla è gratuito.
Il progresso del viaggio è inevitabilmente proporzionale all’impegno dedicato.
Sono già in viaggio.
Verso la lontana sponda della Sublime Riuscita.
Un viaggio lungo, che non voglio più fare senza godermi, di giorno in giorno,
le albe e i tramonti del mare aperto.

Pagina bianca

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Uno dei consigli letti da qualche parte utili per affrontare la famigerata pagina bianca dello scrittore o presunto tale, é quello di stilare una lista di parole chiave.
Parole “attinenti all’argomento”, “cui poter attingere in fase di redazione”. 
Nel mio caso, ovvero nel caso in cui la pagina bianca sia metaforica, non è difficile trovare queste parole chiave.
Vitalità, amore, energia, libertà, gioia, umorismo, musica, complicità, azione, responsabilità, realizzazione, entusiasmo, creatività, natura…
La difficoltà sta nell’aggregare a tali concetti abbastanza materia ed energia da trasformarli in solide e vive realtà.
É dura. Ma è anche una bella sfida. É crescere.

La condizione attuale, un abisso bianco sconfinato, è ancora troppo vissuta come privazione di tutto. Sono immersa, sprofondata in un nulla che non è oscuro ma che è tutt’altro che rassicurante.
E invece, si sa, il bianco è la somma di tutte le possibilità. 

L’abisso è la totalità che smarrisce o sveglia.
L’abisso bianco contiene la soluzione.
Come al solito dipende da me.
C’è bisogno di silenzio per ricevere i segni.
(23.07.2013)

Vorrei ricominciare a scrivere. 
Anche sul blog.

(foto: Elsa Morante, fonte: web)

si puo fare

Giustizia

angelo guerriera assassina
“Nell’ingiustizia si trova la chiave per liberarti dalla sofferenza.
Non limitarti alla lamentela come fanno gli schiavi.. che piegano la testa digrignando i denti. Abbi il coraggio di entrare nell’ingiustizia e qui trova la vera Giustizia.
Ogni evento ingiusto della tua esistenza tocca un nervo scoperto, ma se invece di usare la lamentela come fuga (la “via larga”) indaghi dentro a quell’evento, scopri perché tu, e solo tu, lo hai portato nella tua vita, allora puoi diventare il Re del tuo regno.. L’unico RESPONSABILE per quanto ti accade.

Non lasciare che il mondo prenda il sopravvento.
Non delegare al mondo la tua felicità.
Questa è la psicologia dello schiavo.
Lo schiavo deve lamentarsi perché non sopporta la pressione della responsabilità: non può ammettere di essere lui il regista unico delle ingiustizie che subisce.
Il Re, al contrario, non può lamentarsi, perché in tal modo ammetterebbe l’esistenza di un potere superiore al suo che può decidere della sua felicità.

Percepisci come ingiusto qualcosa che non sei ancora riuscito a integrare nel tuo essere, qualcosa che ancora non riconosci come tuo, qualcosa che è ancora troppo elevato per te.
Sei come la volpe che non riesce ad arrivare all’uva: rifiuti ciò a cui non puoi giungere con il tuo Cuore.
Ogni ingiustizia è linfa per il tuo essere, perché rappresenta il metodo più giusto per aprire un po’ di più il tuo Cuore”

LA VIA PER LIBERTA’ E’ ANCORA LUNGA.
Sono indietro come le balle del cane.

(testo virgolettato tratto da Il Libro di Draco Daatson, Salvatore Brizzi)

Il Tredici

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– Sermone sul Senza Nome (solo per chi non ama cabale e scaramanzie). –

Il titolo del post avrebbe dovuto essere Memento Mori oppure appunto il vero nome del XIII Arcano, detto l’Arcano Senza Nome.
Ma siccome vorrei evitare che i lettori maschi si ravanino compulsivamente nelle mutande e le lettrici evitino di andare a toccare metalli in giro (che col freddo che fa in questo periodo, a molte di noi femminucce ci viene il Fenomeno di Raynaud e poi ci tocca tenere i guanti di lana e seta anche in cucina, oppure prendiamo la scossa), lo chiameremo il Tredici.
Perché anch’io a scaramanzia non sto affatto messa male: se ho una paura (non ditemelo che non sono l’unica perché LO SO) è proprio di finire anzitempo tra le braccia del Tredici.
Sta di fatto che, curiosamente, col Tredici ho un rapporto di concettuale confidenza. Specie dopo gli ultimi suoi soggiorni in famiglia.
Ma, soprattutto, – è questo ciò che vorrei dire e illustrare, incrociando tutto l’incrociabile – dell’idea del Tredici mi servo per fare cose.
Cose difficili come quella descritta nel precedente post.
In concreto, riflessioni risveglianti che mi tolgano dal torpore di certe giornate in cui, di sonnolenza parlando, l’unica differenza tra ciò che faccio di notte e ciò che faccio di giorno è che di giorno lo faccio in posizione eretta. O seduta, se sono in ufficio.

Non ricordo mai i sogni. Ma le poche volte che mi restano in mente rivelano, ultimamente, una frequentazione assidua della sottoscritta con individui (di onirica sostanza, ovviamente) del club presieduto dal Tredici.
La cosa non é che mi esalti troppo. Diciamocelo.
Al limite può farmi pensare che di fatto, in qualche altrove, il Tredici non funzioni come funziona qui e perciò potremmo starcene tutti tranquilli senza fare scongiuri inutili.
In realtà credo che, durante il sonno, i miei neurotrasmettitori facciano spettacoli e prove di teatro tanto per non darmi l’idea di stare a perdere del tempo in quelle 5/6 ore di riposo che mi concedo ogni giorno.
E allora ripescano memorie, le riarrangiano un po’, e già che ci sono mi ammansiscono con questa storia di una presunta immortalità.

Qualunque sia la verità sulla natura dei sogni, nella vita propriamente detta il Tredici è uno spauracchio. Una rottura di palle inevitabile. Una tragedia greca, per tutti.
Soprattutto, per chi non vive pienamente.
Curiosamente, proprio per questo motivo è un prezioso alleato.
Scrivo questa cosa perché poco fa ho letto da qualche parte una frase tipo “agisci come se questa fosse l’ultima ora/l’ultimo giorno/l’ultimo mese…”.
Capite che c’è da dare i numeri.

Cose simili si leggono ovunque: escono dalla spremitura delle storielle di ogni credo religioso e/o filosofico, si trovano come frasi in grassetto nei manuali di auto-aiuto della nuova spiritualità, nei titoli pubblicati sui blog di formazione dei manager e/o venditori rampanti.
Cioè, cosa ci starei a fare io qui a stirare, me lo dite?
Quale corto circuito sinaptico mi porterebbe, come di fatto mi porta sempre, a puntare la sveglia alle 6,23 di ogni domani mattina per recarmi, a foggia di zombie, negli uffici dello Zoo Criminale (mentre con la coscienza mi rotolo al sole a Saint Tropez quattro mesi più in là)?
CON TUTTO QUELLO CHE HO DA FARE?
Con tutto quello che vorrei fare.
Con tutto quello che voglio fare davvero.

C’è un problema: che se ragioni così e agisci davvero di conseguenza, il primo che riesce a catturarti ti porta alla neuro.
Sei la cellula impazzita che crea disordine.
Che ricorda a tutti gli altri che non stanno mica vivendo. Stanno, come minimo dormendo. Allora sei da abbattere. Perché il sistema di difesa che utilizzano non dice loro che stanno dormendo, ma che tu sei uno strano, potenzialmente pericoloso e che se non arrivi a contaminare i normali finirai come minimo a fare del disdicevole barbonaggio. E sulla panchina della stazione, tu non ci piaci.
E tu, siccome anche se proclami il contrario, ci tieni alla stima altrui (e non uso la parola giudizio perché sono stufa di sentirla), al salvagente che la mamma e il papà e la maestra ti hanno infilato qualche tempo fa, capitoli irrimediabilmente nelle corde della maggioranza e ti consoli pensando che intanto c’è tempo.
E invece no. Relativamente parlando, di tempo non ce n’è!
Non quanto la nostra mente parrebbe promettere con tutti questi fiumi di proiezioni future sulle quali surfiamo aspettando il magic moment.
Il magic moment per noi normali è sempre Domani.
Domani, quando smetterà di nevicare, domani quando arriverà lo stipendio, domani quando sarò dimagrita, domani quando mi arriverà quel fantastico libro in cui c’è scritto che il Domani mica c’è. C’è solo l’Adesso. Anche se l’Adesso che c’è scritto là, lo leggerò domani.
Dicono che il magic moment è Adesso.
Io l’ho capito con la testa, davvero.
Ma normalmente decido di pensarlo domani.
Quel che non penso comunque a sufficienza è che il Tredici è ovunque, e allo stesso tempo, sempre ad un braccio da te, come dice Don Juan.
Vurria mai che inciampo e ci finisco vicino.

So bene che sono la centomilionesima persona che scrive queste cose. Ma è una lezione, questa. Una lezione per me.
Per me che sono un’accidiosa da competizione, un’indolente da fumeria d’oppio.
Il Tredici ha mille maschere, si declina in mille versioni, con o senza optionals. Impossibile fregarlo.
L’unica cosa sensata è stare all’occhio e rubargli tempo.
Perché il tempo è elastico e questo è molto chiaro.
In pratica, …

(Fine prima parte – non per creare curiosità o aspettative ma semplicemente perché non ho mai terminato il post che giace nelle mie note da una settimana almeno) (e ve lo propino lo stesso).