I sacchi neri

Domenica.
Nei sacchi neri ci abbiamo messo le spoglie di una passata presenza.
Gli accessori di un passaggio in questa realtà, stipati da quasi un anno in un armadio semplice, di legno liscio, nell’attesa che venisse il tempo.
Nei sacchi neri buttiamo l’obsolescenza annidata nella nostra mente.
Facciamo praticamente un rituale, elementare e solenne, con le ciabatte ai piedi e le tende aperte.
Naturalmente, in una giornata di sole.
Con la porta spalancata su latrati lontani, su gatti appollaiati con occhi socchiusi e campane domenicali che mi entrano nel midollo.

Dai sacchi neri si sono liberati ricordi teneri e anche un po’ ridicoli di una infanzia condivisa e ricordata a pezzi. Che sussulta appena, tra le nostre parole e le nostre risate, prima di ripiegarsi per sempre all’interno di una storia compiuta. Che resterà da oggi, indisturbata, distesa a strati nelle fondamenta. Sempre presente, ma lontana dal frenetico quotidiano.
Dai sacchi neri sono evasi i pomeriggi al torrente, imprigionati nelle fibre di una maglietta a righe, insieme a quel sole pazzesco, quella luce che faceva strizzare gli occhi.
È uscita quella cancellata bianca e le mani di papà, mai sporche, mai rovinate. Sono usciti lavoretti in legno, salse di pomodoro fatte in casa, frutta raccolta, terra zappata, frittate con l’erba amara e poi tetti, pavimenti e odore di calce e cemento.
Tra i sacchi neri ho fregiato mio fratello del titolo di Ragionevole Concreto. Meritevole di avermi impedito di tenere un passamontagna giurassico verde militare, un giaccone delle ferrovie e un paio di calzerotti fatti a mano, numero 43.

I sacchi neri sono un pettine che scioglie nodi.
Sono un’essenza odorosa che scivola sulla pelle, che subito brucia ma che poi mette in bolla i ricordi.
Bonne nuit.

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