18.09.2012 ore 16.00, in spiaggia, Sturla.
Mi rendo conto che il lettore medio del blog, sempre che io abbia un numero sufficiente di lettori da poter fare una media, gode, eventualmente, delle descrizioni di situazioni mentali e stati emotivi in cui possa facilmente identificarsi.
Le mie frasi normalmente sorgono da un’emozione e passano da un’ideazione per poter essere rese più o meno intelleggibili.
Provo invece a scrivere oggi, di un raro frammento di Silenzio. Che non è solo assenza di pensiero strutturato. È qualcosa che va oltre.
Il mio silenzio oggi è Esistere. Sentire di esistere.
Essere, come va di moda dire.
Ascoltare le piccole onde qui davanti a me. E lasciarle andare.
Guardare i sassi della spiaggia, percepire la brezza e il sole sul corpo e mollare subito la sensazione, senza alcuna considerazione.
Dimenticarli all’istante, lasciarli passare, fluire, tornare dal nulla da cui sono venuti.
In quell’attimo che sorge e muore contemporaneamente.
Il retro dell’eternità.
Prendere atto, per così dire.
E lasciar subito andare.
Non trattenere nulla.
Non attaccarsi a nulla.
Costeggiando e poi penetrando un semplice Movimento.
Un flusso costituito da unità di presente, non organizzate, singole e contestuali, senza un prima né un dopo.
Non c’è passato. Non c’è futuro.
Solo quiete, pace, esistenza piena.
Scrivo questo sul retro di un foglio appoggiato sulle ginocchia.
Per non dimenticare.
E ho fatto bene!
Infatti ora, che sono scesa a livelli mentali più accettabili, queste parole mi sembrano la parodia di un articolo tipico sulla spiritualità della odiosissima new age-volemosebene-abbracci di luce, etc…
Come si diventa quando ci si incarna fin nelle ossa!
(comunque è tutto vero).
Ciao gattacci
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Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare,
la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti,
che cercano in mezzo alla gente l’ Europa o l’ Oriente,
che guardano alzarsi alla sera il fumo – o la rabbia – di Porto Marghera…
Stefania era bella, Stefania non stava mai male,
è morta di parto gridando in un letto sudato d’ un grande ospedale;
aveva vent’ anni, un marito, e l’ anello nel dito:
mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro inciampava nei denti…
Venezia è un’ albergo, San Marco è senz’ altro anche il nome di una pizzeria,
la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra.
Stefania d’ estate giocava con me nelle vuote domeniche d’ ozio.
Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio.
Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare,
però non ti puoi risvegliare con l’ acqua alla gola, e un dolore a livello del mare:
il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre
c’è solo il vagito di un bimbo che è nato, c’è solo la sirena di Mestre…
Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa:
Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino.
Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male
vederla morire ammazzata, morire da sola, in un grande ospedale…
Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità:
del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega!
Stefania è un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il suo destino:
può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti…
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