L’Ombra

IL LATO OSCURO DELLA LUNA

Tempo fa ho comprato un libro.
In un momento di disperazione e nevrosi a livelli cosmici.
Quando vi dico l’argomento, capite perché proprio in quel momento: ha a che fare con l’esplorazione dell’Ombra.
Qualcosa di molto Junghiano che, a mio parere, chiunque si creda in possesso di una coscienza dovrebbe affrontare, prima o poi.
Sicuramente nei momenti di maggior attrito per tentare di farsene una ragione.
A meno che non siate astrologi. E allora vi spiegate tutto con i transiti di Saturno, Chirone e la rivoluzione del Nodo Lunare.
Ma a me non basta.

Quindi, quale miglior periodo di questo, in cui materializzo le meglio tragedie annidate nel mio inconscio?
Comunque, per notizia – ovviamente non vi parlerò di cosa, come e perché: per queste cose c’è il taccuino vergato a mano – , funziona come per i fiori di Bach e cose affini: basta tenerli in tasca, o guardarne l’immagine e già ti intaccano inesorabilmente con la loro funzione.
Nemmeno ho iniziato il programma proposto dal libro, salvo l’aver letto la necessaria introduzione, che già mentre mangio l’insalata un mostro salta fuori.
Così. Dal niente. E così insieme a lui, tutti dei collegamenti incredibili, stupefacenti.
Chi ha detto che l’associazione mentale è solo un girone infernale?
E’ la catena che dall’inferno può tirarti fuori.
Cose semplicissime, davanti a te da sempre.

E’ proprio uno svelamento, nel vero senso del termine.
Si cambia livello improvvisamente.
Improvvisamente apri un altro paio di occhi.
Una specie di violenta succussione dei corpi sottili che poi si riassestano, compenetrandosi secondo un nuovo algoritmo.
Siamo esseri telescopici.
E’ tutto dentro.
Solo quando ti sviluppi verso l’esterno (che poi è anche l’interno) acquisisci potenza ottica per mettere a fuoco un pezzo in più di ciò che sei.
E ti sembra tanto.
E in realtà è pochissimo: il confine tra te e l’altro è la non esistenza del confine. Prima che arrivi lì hai già fatto il giro della ruota un tot di volte.
Speriamo di essere un faraone, alla prossima.

Le stelle

La sera, prima di andare a dormire – e questo succede in ogni stagione –
vado fuori sulla terrazza a fumarmi l’ultima sigaretta della giornata.
Mi siedo sulla panchina e guardo il cielo.
Sere come quella di oggi, sono sere fortunate: il cielo ha un neroblu preciso,
lucido e le stelle sono ben visibili.
Potrei dar loro uno sguardo senza fine.
C’è una specie di respiro interno che comincia, ogni volta che guardo una stellata.
Non è una cosa che ha a che fare con l’aria fisica.
E’ una sensazione che mi ricorda qualcosa, una specie di movimento traslatorio fisicamente impossibile ma verosimile se penso al senso di me.
Come se fosse la remota memoria di uno spostamento di coscienza.
Una sensazione totale, viscerale, primordiale.
Ogni volta in cui mi accade riconosco che godere di quella vista da sola,
per quanto sia un’esperienza magnifica, è una specie di dono mancato.
Quelle stelle di luce antica e noi che viaggiamo a folle velocità.
Sta lì il senso degli attimi che non tornano.
E che non ti ho dato.
E che tu non hai potuto dare a me.