Anabasis


Dal greco, spedizione verso l’interno.
Esplorare e conquistare l’entroterra.
Non è una passeggiata.
Insomma non la è quasi mai, se vogliamo essere onesti fino in fondo.
E io onesta la sono.
Immersa, di tanto in tanto, nel mio fondo oscuro, non faccio mai finta.
Per quanto ne so.

Si capisce che mi ero di nuovo inabissata, no?

Avrei voglia di scrivere liberamente cose che originano dall’Ombra, quelle sensazioni nascoste e primitive che tutti noi occultiamo più o meno coscientemente per etica, per rispetto altrui, per paura.
Vorrei trascrivere immagini forti, eticamente scorrette e rivelare le cose scomode e fastidiose che privatamente e con una certa fatica, porto alla luce per trasmutare ed integrare.
Vorrei concedermi uno spazio per il lamento, l’aspra critica, per l’insulto, per l’orrore e per l’oscenità che voglio permettermi in piena consapevolezza, appena prima di cominciare la fatica di astenermene e dissolverne i contenuti.
Vorrei chiamare le cose con il loro nome. Anzi no, con quella qualità tutta mia personale, con quella viziata forma con cui nascono da un certo segmento della personalità.
Quell’identità, tra le tante, che soffre e si torce.
E che forse, sta – finalmente – per morire.
Vorrei sdoganare un rabbioso turpiloquio, corposo e carico di materia. Buttando fuori vecchie bolle di energia compressa e fermentata.
Libera da quella correttezza e quello sforzo trasformativo che accompagnano la mia presunta crescita personale e che vengono solo dopo aver stanato le bestie.
Non posso risolvere i miei mostri senza conoscerli.
E non posso esimermi dall’avere un pubblico, anche solo teorico, per non rischiare di rimangiarmi tutto, rinnegarmi e, in definitiva ricacciare i temuti enti nell’Ombra.
Tutto ciò che non viene esposto alla luce fermenta, marcisce.
Non voglio che la mia carne venga corrotta.
Detto questo, mi calmo, intanto qui non posso farlo.
Dovrò darmi all’espressione figurativa.
E, in ogni caso, ora va meglio.
Che salto, ragazzi.
Sono tornata alla superficie.
Anzi, di più, più in alto: vedo l’azzurro sconfinato del cielo, mio padre, e l’aria è tanta. E fresca. E io respiro. E io sono viva.
Anche voi, gattoni, siete vivi.
Non è una cosa meravigliosa?

L’anima con le borchie

Quand’é che il mostro sei tu?
Sempre. Il mostro sei SEMPRE tu.
Dopo anni di autoanalisi de’ noantri, dopo insegnamenti plurimi sull’equilibrio psicofisico e sulla (da te spesso diffidata) esistenza di una dimensione spirituale,
ti siedi nei seggiolini color faggio della sala d’attesa delle poste, con in tasca il numero E183 e scrivi la genialata che hai capito.
Quella che hai sentito nei visceri quando hai incrociato il tuo sguardo nello specchietto retrovisore, circa 15 minuti fa, alla rotonda dell’outlet e ti sei vista uno schifo. Brutta, sporca, peccaminosa. Lucida e brillante fuori, come una mela col verme dentro. Corrotta, difettosa, deviata, maldestramente ingannevole e stanca. Stanca morta di voler essere a tutti i costi non si sa cosa.
(Che non sia, naturalmente, quella che sei.)
In pratica hai scoperto che nessun al mondo avrebbe nulla da ridire su come ti vesti, su quello che mangi, su quanto dormi e su quello che ti piacerebbe fare tranne che quell’improbabile tipa che ti fissa attonita, la mattina, allo specchio.
Che sei tu che non ti sopporti.
Che sei tu che ti critichi.
Che sei tu che ti giudichi.
Che sei tu che non ti vai bene.
Che sei tu che non ti vuoi bene.

Che sei tu il mostro che, mentre ignara intrecci contenuti di superficie sentendoti intelligente e phyga (lo scrivo così perché temo i motori di ricerca), pianta i paletti nelle tue fondamenta, costruisce trappole nuove su tagliole antiche, tende lenze ed erige muri.
Non statemi a dire che lo sapete già.
Il mondo pullula di manuali di auto-aiuto e di condivisioni facebookkiane in cui si proclama che i limiti sono nella nostra mente.
Non tutti lo sanno davvero, io per prima fino a ieri.
Non si tratta di capirlo o di scriverlo.
Si tratta di sentirlo.
Non sono teorie.
È guardarti e, molto sinceramente, in quel momento non piacerti.
Sono quegli attimi in cui affiora il tuo demone e ti mostra quanto puoi essere brutta, cattiva, sbagliata.
È un’improvvisa buca su una strada liscia.
È vita, comunque. Vita tempestata da mille borchiette di anti-vita.
Siamo al numero E177 e dopo questa visione delle borchiette, direi che è meglio se la mollo li.
Tanto, sono comunque di buon umore.
Buona serata mostriciattoli.