Yes, we can (change)

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Oggi nevica anche qui vicino al mare.
C’è una specie di bufera, una piccola tormenta.
L’ufficio è ammutinato: su 9 siamo presenti in 4: tutti malati.
Più facilmente, oso pensare, tutti spaventati dalla neve.
I Ligvri hanno dimenticato la loro originaria tempra selvaggia e si chiudono in casa in attesa della abituale mitezza del luogo.
Tra poco due di questi altri tre, se ne andranno per paura del clou della precipitazione che è prevista alle 13.
Come sempre io in controcorrente: la possibilità di avere una stanza qui farà di me la prima (spero non l’unica) presente in ufficio domani..
Non tradisco la mia politica di sempre: raffreddori, mal di pancia e maltempo in ufficio.
Libertà, benessere e voglia di fare, fuori dall’ufficio e nella bella stagione.
E oggi, già che ci sono, scopro cosa si prova a camminare sotto la neve impazzita a causa dell’imperterrito vento.
Un vento freddo che mi butta i capelli in bocca e negli occhi e mi schiaffeggia a ritmo irregolare e convulso.
Una specie di iniziazione.
Se non mi saltano i nervi, ovviamente.

Stamattina, scrivevo ad un’amica, ho visto come il mio essere recalcitrante ai cambiamenti sia una tendenza generica, globale.
Non c’entra tanto l’ambito del cambiamento, quanto il movimento stesso del “cambiare”.
Del tipo: qui non sono soddisfatta ma conosco l’ambiente, il contesto, l’antifona insomma. Lì potrebbe quasi sicuramente essere meglio ma CHISSÀ. Paura dell’ignoto.
Non c’è in me la concretizzazione spontanea della consapevolezza raggiunta al termine di una valutazione razionale (e/o emozionale): devo pensarci, e pensarci, e ripensarci.
Devo scrivere i pro e i contro, fare le finte con l’immaginazione e inventare minacciosi giochetti mentali con me stessa.
E anche questo non è abbastanza.
Perché anche se leggessi nero su bianco, anche se mi dicessero, mi giurassero, mi garantissero: da oggi puoi fare quello che vuoi, come vuoi, quando vuoi senza problemi di sorta, probabilmente avrei il coraggio di provare nostalgia per il treno delle 7 sotto la bufera di neve e con la mani ghiacciate.
Il che significa che non mi muovo. Se non messa alle strette da altre contingenze, o da tetre riflessioni sull’esiguità del tempo a disposizione che tutti, nessuno escluso, abbiamo.
Abitiamo una macchina a scadenza, si sa.

Il mio non è un timore qualificato in base alla circostanza.
È proprio un tratto generale caratteristico. Una delle linee di scorrimento principali incise nella mia struttura e originate chissà quando.
Staccionate rassicuranti che ho costruito nel tempo.
Meccanismi reattivi consolidati.
Istruzioni di Pavlov a cui non disobbedire mai.
Abitudini. Nient’altro.
Enti psichici che dopo anni, conquistano autonomia, vita propria e licenza di uccidere (ogni germoglio di iniziativa che si discosti dal copione storico personale. Quello che di default, senza intervento cosciente, si replica fino al camposanto).
Come la riga nei capelli che se non insisti, si rifà dall’altra parte, esattamente dove è sempre stata.
Mi rassicura, in pratica, il restare nella pochezza, quando il mondo la fuori è pronto a farsi conquistare!
(Perché se ti accorgi che c’è dell’altro, la tua, quantunque grande sia, diventa una pochezza.)
Ridicolo. Assurdo. Limitante.

Purtroppo, essere coscienti di queste obsolete strade maestre, non basta per andare oltre.
La consapevolezza, si, è pur sempre il primo passo.
Poi però, ci vuole lo shock addizionale per saltare di un’ottava.
Quello che io chiamo quotidianamente “sforzo”.
Atto volitivo.
Esito consapevole di un’odiosa ma necessaria disciplina.
Mi tocca fare qualche sforzo per superarmi e avvicinarmi all’unico traguardo sensato: scoprire, diventare, Essere veramente quel che sono.
L’unica cosa che conta.
Smetterla di razzolare nello stesso cortile.
Perché mi pare di aver capito che a me non basta.

In conclusione, pensavo che siccome io i cambiamenti li voglio, ma non voglio più farmeli imporre dalla vita attraverso delle sveglie da caserma con tanto di trombe, che poi mi traumatizzano (vedi il “diventa adulta!” di questi ultimi anni), sono ben contenta di fare le scintille correndo ansimante nel corridoio stretto e spinoso delle mie paure.
Con quel po’ di coraggio che riesco a raccogliere, gli occhi ben aperti e tutti gli altri sensi all’erta.

Giusto per tenervi aggiornati.
Buon lunedì gattacci.

7 pensieri su “Yes, we can (change)

  1. Per me cambiare non è una questione di determinazione, un compito in classe, un dovere inevitabile. Cambiare è qualcosa che viene da dentro, che arriva dall’anima e che niente e nessuno può fermare.
    Se lo percepisco come qualcosa di “obbligatorio” fallirà, se è inarrestabile in me avrà successo, comunque vadano le cose.
    Devi sentirlo, non forzarlo

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  2. Avevo scritto la risposta e il maligno mi ha fatto mettere il dito nel tasto sbagliato. Ci riprovo:

    Assolutamente d’accordo con te.
    Rileggo e mi accorgo che non sono stata chiara..
    parlo del blocco.
    Ovvero di quella cosa che si intromette tra il mio sentire il cambiamento, che origina da dentro (e sentirlo forte, direi, in questi ultimi tempi) e la messa in atto del naturale svolgersi di azioni ed eventi che ne scaturiscono.
    Il blocco: le paure, condizionamenti pregressi.
    Sentire il mutamento, fare la scelta e scorgere il terrore prima del primo passo fuori le mura. (Cronache attuali. Ne avrai la prova tra qualche tempo se i demoni non l’avranno vinta) (E non l’avranno vinta.)
    In questo caso bisogna davvero prendersi in mano e darsi una spinta.

    Nei confronti dell’obbligo e delle piu svariate forzature, i Si Deve e i Si Dovrebbe, fatte salve le incursioni di inconsce forme di masochismo, sono come un riottoso mulo che si pianta in mezzo alla strada e resiste all’irresistibile. La classica testona..
    Nonostante le mie sembianze caratteriali abbiano un’aria assai docile.

    Oggi non ho ancora letto da te.
    Adesso vado.
    (grazie e buona serata carissima)

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  3. Si, vado adesso … no vado prima io … no no prima me … no prima io, ti ho detto che vado, mi butto … no no prima me, che è meglio … dici? ma se invece vado prima io? … ti dico prima me, questa volta mi sono deciso … ma no dai, siamo alle solite, non posso tirarmi inditro come sempre … allora non hai capito, ora tocca a me, che ho sempre paura dell’ignoto … ma anch’io mi fermo sempre quando ho deciso di muovermi … ok, allora io rinuncio … vabbè ma allora non c’è problema, anche per me si può fare un’altra volta …

    Caro Gatto, io e me ti capiamo benissimo, viviamo gli stessi ripetitivi e cristallizzati drammi, delle “Staccionate rassicuranti” e dei “Meccanismi reattivi consolidati” che abbiamo costruito nel tempo.

    E capisco bene che chi è all’inizio della costruzione, per note ragioni di vetustità, non si rende minimamente conto di questi meccanismi perversi e autocastranti, di queste subdole muraglie in costruzione.

    D’altra parte è nell’indole umana cercare di rimanere nella evanescente “zona di comfort”, conquistata a suon di cazzotti e sacrifici … seee, conquistata un par de balle!!
    è solo la conquista di un miraggio imbalsamato ed incorniciato bene per non che ci scappi via (dalla mente che … mente).

    Arriveranno tempi migliori, si dice così no?
    è così che deviamo dalle nostre migliori aspirazioni per timore di uscire dall’illusoria dannata “comfort zone” no?

    Insomma lo sai bene che sei in buona compagnia …. Miaoooaooooo!!

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    1. Si Frater. Ma sto giusto scrivendo la prossima riflessione che ha a che fare con un aiutatore formidabile (che sta sulle palle a tutti).
      Me ne servo a profusione negli ultimi tempi e lo voglio condividere – anche se non piacerà – perché é brutto ma dannatamente efficace e scrivendone, conto di farmi un’autolezione, un autosermone, un autocalcioinculo.
      Inizia a farti il bidé. Poi capirai.
      Un abbraccio

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  4. perchè “pochezza”? continui a non valutare la tua grandezza, la tua storia, te stessa. Non è pochezza. va bene il cambiamento ma non è detto che sia migliore o peggiore. ma quello che hai, che sei, che senti, che vivi non è per nulla pochezza……
    abbi cura di te
    anzi TAIK CHEAR

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    1. In senso assoluto si. Ma relativamente al mio sentire di certi periodi, quelli in cui, appunto, percepisco e vedo qualcosa che sta oltre, la “pochezza” è il nome che do al punto di partenza di un percorso che sento di dover fare.
      Tutto qui.
      Anzi, ti dirò di più: sono sempre più spesso grata per quello che ho, quello che sono e anche quello che mi è accaduto… Per avermi fatto scoprire certi miei “angoli” di autentica grandezza. (gli stessi che tu stessa non vedi in te!)
      Ciao e grazie Cirli

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  5. … “Io non ho mai
    pensato se
    anche l’abitudine
    è un bel posto
    per ritrovare me” ………..

    E se poi
    capissi che
    tutto è uguale a prima
    e come prima
    mi sentissi inutile
    Io non ho mai
    pensato se
    anche l’abitudine
    è un bel posto
    per ritrovare me
    Ma senza di noi
    ho ancora
    quella strana voglia di
    sentirmi sola
    senza di noi
    ma non da ora
    se non altro per vederti
    andar via ancora
    E se mai
    cercassi te
    sarebbe per paura
    e la paura è sempre quella
    a vincere
    E tu non puoi
    far finta che
    niente sia cambiato
    dopo il cuore che ho strappato
    via da te
    Ma senza di noi
    ho ancora
    quella strana voglia di
    sentirmi sola
    senza di noi
    ma non da ora
    se non altro per vederti
    andar via ancora
    Senza di noi
    ho ancora
    quella smania di fuggire via da sola
    ma senza di noi
    chi vola?
    sono solo ali e piume
    e nient’altro ancora
    Certo
    che non ha prezzo il tempo
    passato insieme a spasso
    tra questo mondo e un altro
    per trovare l’universo
    adatto al nostro spazio
    ogni giorno più stretto
    per contenere i sogni
    tutti dentro ad un cassetto
    ed ecco perché scappo
    ora ricordo e scappo
    ho solo tanta voglia
    di sentirmi viva adesso
    Ma senza di noi
    ho ancora
    quella strana voglia di
    sentirmi sola
    senza di noi
    non ora
    se non altro per vedermi
    andar via ancora
    Certo
    che non ha prezzo il tempo
    passato insieme a spasso
    tra questo mondo e un altro
    per trovare l’universo
    adatto al nostro spazio
    ogni giorno più stretto
    per contenere i sogni
    tutti dentro ad un cassetto
    ed ecco perché scappo
    ora ricordo e scappo
    certo
    che non ha prezzo il tempo
    tu restami un pò addosso

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