La verità su certe noiose omelie.

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Ora che la distruzione sta accelerando senza più alcun freno, come uno scherzo di cattivo gusto, ecco che sorge svelandosi.
Spudoratamente, violentemente, con un boato greve e crescente.
Beffardo ed incurante degli strati inferiori che vanno a fuoco.

Esiste davvero qualcosa di immortale. Invincibile. Eterno.
Molti l’hanno già scritto o detto molto meglio di quanto possa farlo io.
Persino i preti. Non si sa se con cognizione di causa oppure no.
Ma non posso tacere.

Non c’è da sfondare nessuna porta. Basta tirare la maniglia ed aprire.
Non c’é da forzare nulla, né resistere a nulla.
Solo sciogliere, accogliere, arrendersi, abbandonarsi.
Aprire gli occhi. Aprirsi. Svegliarsi.
Non è impossibile. Ma dura così poco.

Ho un nemico e questo nemico ha il mio volto.
La mente mente.
Ho scoperto l’acqua calda, lo so.
E poi, perché arrivarci sempre quando si è in punto di morte?
Morire, sempre morire!
O per vertiginoso amore, o per insostenibile dolore.

Se ami, e sei ancora invischiato di brutto con la tua macchina biologica, l’altro diventa la trivella del tuo pozzo nero. E ad un certo punto la cacca è tanta e ti viene paura e scappi e ti difendi e ti rinneghi. Non capisci che non è il caso di chiudere la botola e far finta di niente come fai con la polvere sotto il tappeto.
Allora, a D-io non resta che prenderti a bastonate fino a quando perdi il controllo, per infilare poi, svelto, il piede in mezzo alla porta in modo che tu possa vedere quello spicchio di luce. Che ti investe e si fonde con te perché la sostanza è la stessa.
E allora è vero che non sei più solo.

Sarei pronta per fare il prete.

Buon Natale

Se ne sentono i passi come in un corridoio.
Un corridoio vuoto. E buio. Tipico da brutto sogno.
Passi tignosamente cadenzati e regolari.
La festività si avvicina.
E io sono ancora cosparsa da frammenti teoricamente nostalgici e in realtà ormai effimeri.
Sono grande cazzo. Non posso più pensare di passare il pomeriggio del 25 sul divano di casa (dei miei) a sonnecchiare incastonata nell’ingombrante forma di mio fratello, con la pancia piena e il rumore dei piatti che mia madre sta lavando.
So di aver già descritto questa scena l’anno scorso o forse due anni fa.
Del resto Natale c’è ogni anno.
Le memorie sono delle trappole micidiali. E il business lo sa: e ti ripropone colori, odori, sapori e queste cavolo di musichette.
Io amo la radio, al contrario della televisione che ipnotizza senza rimedio.
Ma in questi giorni anche la migliore emittente possibile diventa un insopportabile accozzaglia di campanellini e melodie di giurassica memoria.
No, non sono mica cattiva. E nemmeno sarcastica.
Sono legittimamente innervosita perché mi sento in difetto.
Mi sento in difetto di famiglia.
Ormai lo sapete tutti, quella d’origine non c’è più e i miei gatti, ipotizzassimo una sorta di transfert, non ce la possono fare. E la famiglia a cui tendo, ancora troppe volte, scivola dalla mia comprensione come un’anguilla spaventata tra le mie mani. Mani ancora deboli, inesperte.
E allora spero che queste festività passino alla velocità della luce.
Perché in realtà mi piacciono. Mi piacciono proprio nel loro potere di aggregazione e per quella quota di temporanea apertura di cuore che pur essendo appunto momentanea, è reale.
Un attimo di amore cosmico.
Indifferenziato, indiscriminato, incondizionato.
Non è un fatto religioso. Non solo. (La religione non è mica solo il bambin Gesù con bue, asinello, e pecore in mezzo al muschio). Ormai è una gigantesca eggregora che non risparmia nessuno.
E i più deboli, se non sono in regola, ci lasciano anche le penne.
Emotivamente. Metaforicamente. I più sfortunati anche fisicamente.
Il Die Solis Invicti mi piace. Perché mi annuncia la luce.
È perché anche se difettosa sono una che ama.
Si tratta solo di resistere all’attacco delle antiche memorie.
Sempre più deboli. Lo devo dire.

Questo l’ho scritto qualche giorno fa.
Com’è andata? Bene.
Perché anche se sono difettosa sono una che ama.
E l’amore, che sbatte a casaccio contro le mie pareti prima di trovare una via d’uscita decente, nutre parecchio.
Buon Natale a tutti.
Chiudiamo gli occhi e ascoltiamo la Luce che sale.

Per sempre

Mia illusione.

Mio vuoto
mia ferita
mio fiore
mia speranza
mio demone
mia disfatta
mio fuoco
mio grido
mia Via.
Mio baratro
mia mente
mio dolore
mio specchio
mio sorriso
mia rabbia
mia gioia
mia musica
mio silenzio.
Mio sole
mio inverno
mio aguzzino
mio miraggio
mio cielo
mio gelo
mia tempesta.
Mio inganno
mia rinuncia.

Mia carne
mio destino
mia solitudine.

Mio amore.

Meteore verbali

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Oltre alle decine di files (una volta avrei scritto “un paio di chili di carta’) letterari partoriti in queste settimane, ho scritto tre lettere davvero molto belle.
Due ad una persona, una ad un’altra.
Quando scrivo esce una parte di me, probabilmente la più nobile, che mi permette di dire la (mia) verità senza ferire nessuno e con un discernimento super partes così pulito e straordinario che, una volta finito di scrivere, mi chiedo se io sono io oppure no.
Per fortuna, la parte bestiale che è in me si oppone a questi gesti superiori che poi si trasformerebbero, per effetto del legame che si crea a contatto con la realtà, in romantiche lagne Vorrei Ma Non Posso che invece di veicolare l’Amore, verrebbero equivocate e farebbero la parte delle varie sentimentalità basse e inopportune.
Meglio sospendere.
Uno, perché le parole non arrivano a tanto.
Due, perché chi legge, diciamolo, non gliene frega una cippa.
Tre, perché tutta la Verità finirebbe per danneggiare altri che non sia io. Non tutti sostengono e io non sono del partito “uccidere nel nome di dio”, nonostante a me non siano mai stati fatti sconti di sorta.
Tò… Un embrione di etica sul fondo della sottoscritta!
Ma quale etica: mi sto contando i segni.
Di buchi ce n’è. E non ci sono cerotti che tengano.

Perciò, tornando a bomba, non le invierò ai destinatari.
Anzi le cancello.
La loro parte, le letterine l’hanno fatta. Dentro di me.
Il resto del mondo ha il suo percorso, indipendentemente dalle mie patetiche letterine.
Così come dicono i saggi.
Recenti vicende, inoltre, mi hanno insegnato che la trasparenza malriposta è tentato suicidio.
E poi c’è sempre Matteo seven.

Devo inventarmi qualcosa per tenere vivo il blog che non siano i miei visceri stesi sul bancone. Che non fanno bella figura, non interessano a nessuno e c’è anche chi se ne nutrirebbe.
Au revoir, mes petits chats.