Procedendo

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Ci vorrebbe una foto.
Sono uscita a fumare una sigaretta sul ponticello.
Questa è l’ora che da origine all’imbrunire.
C’è un cielo spettacolare.
Nuvole striate color grigioazzurro, e rosa e mille sfumature che non so descrivere.
Sullo sfondo il Baldo che emerge da un nulla nebuloso e sottile.
Il baldo con i riflessi rosa. Un rosa tenue.
In alto gruppi di uccelli che si spostano verso il lago.
Tra loro un pennuto lacustre in direzione quasi contraria, grande, solitario, dal collo lungo.

La bellezza da ancora più senso alla vita.
Penso a papà che guardava il cielo esattamente come lo guardo io.

Penso che ormai mi è davvero impossibile restare in superficie, evitare i grandi perché e uscire da quella visuale globale, profonda, totale delle stagioni, della natura, di ciò che esiste e vibra, dei cicli dell’esistenza, della meravigliosa fortuna che abbiamo nel vedere le cose che ci sono così come le vediamo noi.

Come al solito uno “stare” in questo modo mi spaventa.
Ma non ha più senso evitare questo modo di essere per la stupida paura di morire da un momento all’altro.
Come se nella gioia, e senza tormenti, non avessi più motivo di vedere dei cieli simili.
E dire che non ho ancora visto niente.
Paura di morire o paura di vivere?
(7 gennaio 2015)

È passato più di un anno da questo scritto.
L’approccio al mondo fenomenico è lo stesso. Più intenso ancora, se possibile.
Ma quella paura di fondo sta svanendo lentamente.
Ogni giorno sento di meritare di più ogni cosa che mi viene incontro.
Ci trovo un senso, un legame profondo a ciò che sono e non so di essere.
La striscia di inconscio più vicina alla superficie emerge piano tra le maglie allargate dalla resa.
E dalla calma.
Arrendersi assertivamente, avesse un senso dire una cosa simile.
Dire ‘Si, ok. Va bene.’
Che relax!
Ho vissuto troppo tempo nella testa resistendo a mille cose: è ora di godersi l’incarnazione al 100%.
La pre-occupazione non ha senso.
Ciao gatti

Tempo

tempo

“Comincio oggi. Tanto, un giorno vale l’altro.
Il giorno ‘è’ perché lo abbiamo inventato noi.
La mia vita è un giorno intero. Ed io ne sto esplorando la notte.
Mi chiamo Anna e questo diario è mio.-

(Questo è l’inizio di un vecchio racconto mai terminato..)

Carissima amica,
è proprio così: le ore, i giorni, gli anni, sono tutti quanti soltanto attimi.
Attimi brevi come il lampo o lunghissimi, come certi sospiri che non finiscono più.
Il tempo è nemico ed alleato e lascia il suo segno su di noi, abbruttendoci per una vita vissuta poco e male, o impreziosendo i nostri sguardi di una nobile consapevolezza.
La vita è una singola unità dove si alternano inverni e primavere, notti inquiete e giorni splendenti.
Notti lunghe di anni, giorni di poche ore.
Autunni approssimati e torride sconfinate estati.
Un anno in più non esiste.
E’ solo un sistema. Per controllare, di tanto in tanto, a che punto stiamo.
Ti auguro che il viso ti si segni per troppo sorridere.”
Buon compleanno Trippi
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Lettera di auguri scritta per il compleanno di una vecchia amica, spuntata tra pacchi di memorabilia rovistati oggi, in un accesso compulsivo di space clearing.
Quando il Gatto era parecchio giovane e sul Tempo pareva saperla lunga.
In realtà il segreto è che non aveva ancora superato i 30: si fa presto a fare i saggi, a quell’età. Soprattutto se sei una blaterona che ama scrivere.
Descrivevo la relatività e la soggettività del tempo omettendo la cosa fondamentale: non sono verità da constatare, ma da cavalcare e dirigere per fare di se stessi un capolavoro di esperienza.
Dopo quasi vent’anni, rileggo queste cose poi fisso il muro attonita, chiedendomi dove mi si è impigliata la giacchetta.
E perché non ho mai finito i racconti.

Misfit

misfit
In mezzo ad una serie di disegni, una pagina di foglio formato protocollo senza margini.
Tratto piuttosto pesante, stretto, pieno e comunque fluido.
Inchiostro nero. Scritto privato, in italiano “non sorvegliato”.
A giudicare dalla calligrafia, sembrerebbe risalire ai primi anni 90.

“Non riesco a seguire la quotidianità sociale e mondana come fanno tutti, progettando a mia volta, per me stessa e per le mie tappe, avanzamenti e prese di posizione di tipo convenzionale.
Il tempo scorre ad una velocità diversa.
Il mio calendario si cardina su aspetti completamente diversi, avanzando su gradini dall’altezza irrazionale e in tappe dalla durata variabile.
La mia vita è come una moviola dove lentezze estenuanti si alternano in fasi in cui il moto precipita e fugge proiettando il film ad una velocità impazzita. Cade in un impulso irrefrenabile.
Mi sento avanti interiormente ed indietro sul lato pratico.
Proseguo intenta nei miei stretti e profondi sentieri, nelle mie trincee.
Dove nessuno mi scorge.
da dove riemergo apparendo in altri tempi ed in altri luoghi, nascondendo involontariamente l’effettivo percorso ed impedendo la piena comprensione dei miei movimenti da parte di altri.
Vivo bene questa dimensione parallela perché è l’unica che mi avvicina maggiormente al perché delle cose.
Senza un simile costante interrogativo nulla avrebbe senso.
Un giorno capirò che non devo per forza capire e vivrò in pace.
Concepisco il silenzio soltanto in presenza di Dio. O meglio, quando mi rendo consapevole della sua presenza nel qui ed ora di un normalissimo pomeriggio in campagna, o davanti ad un albero, di fronte al mare, o abbandonata al calore del sole.
Per il resto, studio, penso, mi spremo all’inverosimile, immagazzino informazioni di ogni genere sperando che l’accumulo possa un giorno esplodere in una pioggia d’oro che mi rivesta l’anima e la coscienza.
Continuo ad avere la vecchia sensazione di seguire una strada con gli occhi bendati senza sapere dove mi porterà.
Continuo a percepire l’avvicinarsi di un momento di gloria che attendo stupidamente senza capire che già ora potrei trovarmi nel bel me…..”

La pagina termina. E la parola “mezzo” si può facilmente intuire. Chissà come andava a finire.
Sono cambiate molte cose.
A Dio sono state precisate ulteriormente caratteristiche, struttura e collocazione.
I momenti sacri di comunione con il tutto persistono, anche se radi, e, insieme ad un paio di altre cose, sono decisamente il mio salvavita.
Il lamento del sentirsi invisibili e fondamentalmente soli nel proprio percorso, che scritto così implicava una speranza di fusione non dichiarata, è diventato una condizione reale ed inevitabile.
Sull’attesa del Momento Giusto, per fortuna ho cambiato idea.
Anche se sul lato pratico, oggi come oggi tutto ciò mi significa sforzo sovrumano.
Vorrei essere più precisa. Ci sarebbe qualche altra interessante teoria.
Interessante perché, contrariamente al solito, è stata postulata successivamente all’esperienza.
Ma per i motivi descritti da qualche parte nei commenti ve la risparmierò.
Ho altri foglietti da trascrivere.
Rileggerli è divertente ed inquietante insieme.

E’ arrivato il freddo. Ci si rattrappisce ulteriormente.
Avvicinandoci al centro, che, tanto per cambiare, brucia.
Buona giornata gatti.

Provvidenziali salvataggi (c’è una speranza per tutti)

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…..E poi c’è una cosa.
Una cosa non nuova, ma che appare molto raramente nella mia vita.
Una cosa misteriosa che risale alla superficie nei momenti più tragici, più difficili da superare.
Quelli in cui sento una pena dentro come un qualcosa tirato allo spasimo che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.
Il mio equilibrio, direi.
Di questa cosa non intravedo la forma. Non riesco nemmeno a tastarne la consistenza.
Ho idea che sia sottile. Che sia qualcosa che si perfonde in me, che crei una specie di rete invisibile che mi impedisce di andare in pezzi, contenendomi in modo libero ed elastico, in modo da mantenere una peculiarità di forma senza costrizioni decise.
Questa è la cosa – non saprei definirla – che segna lo stop in certe divagazioni del mio essere. Come un’orbita oltre la quale non posso cadere senza perdermi.
È quella cosa che mi blocca nel momento appena prima di.
Ed è la stessa cosa che mi sposta di colpo su una trattoria che io non vedo e che riconosco come profondamente coerente a me, con il famoso senno di poi.
………

(dai Diari privati del Gatto)

Non sono mai seria fino in fondo

Da una recente lettera:
“La vita deve essere anche leggerezza, altrimenti siamo finiti.
Io rifuggo la stagnazione come la morte.
Perché l’immobilità è rigor. E il rigor è, notoriamente, mortis.”

La coscienza, il nuovo e la paura dell’ignoto

Penso alla coscienza come un fiume, contenuto ovviamente da argini. Due argini per l’esattezza (ecco perché il fiume!): ripescando il concetto della dualità e dell’imprescindibile costituzione di ogni cosa come coppia di opposti, abbiamo l’argine delle cose percepite come positive, piacevoli, costruttive e l’argine che sagoma il confine nella nostra parte oscura (negativo, dolore, distruzione).
Il fiume che sta in mezzo è la totalità del vissuto cosciente dell’individuo che corrisponde, inoltre, alla totalità degli elementi utili alla costituzione della percezione.

Di fronte ad uno stimolo nuovo (non ri-conosciuto) vari elementi idonei alla circostanza, contenuti nelle profonde acque del fiume, si organizzano in un modo nuovo, in una nuova forma, una nuova molecola che trascende la semplice combinazione matematica dei singoli e genera una nuova vibrazione, un nuovo sentire, una nuova realtà che va ad arricchire il materiale già esistente: il fiume si ingrossa, gli argini si spostano ampliando il letto (il potenziale) del fiume-coscienza.

Certo è che l’acqua che aumenta non si impone solo su di un argine, ma cambia i confini in entrambe le direzioni: la coscienza si espande, si eleva conglobando le nuove informazioni, ovvero maggiori possibilità di conoscere e riconoscere e, in definitiva, aumentando l’ampiezza e il potere della successiva percezione.
E’ come una spirale ascendente che accresce la possibilità di sperimentare, nel bene e nel male, e di sostenere eventi nuovi e, di fatto, ancora appartenenti al lato dell’esistenza ancora celato nell’inconscio dell’individuo.
Ancora non vissuto: ancora non integrato.

Se scopo dell’evoluzione è tornare all’unità originaria (allo stato indifferenziato) con consapevolezza, l’integrazione di quella parte del Tutto che ancora non conosciamo è il motivo dei nostri sforzi nell’abbattere le varie separazioni, nel tentare di divaricare ulteriormente gli argini, sperimentando tutto quello che manca.
E’ il tentativo di integrare ciò da cui ci siamo separati durante il processo dell’individualizzazione, per poi tornare al Padre – per così dire – coscienti di esserne parte costituente.

Uff, i miei pensierini. Sono tutta sudata.