Fobie 4

Ci sono circa 90 metri quadri a tua disposizione.
Non fa nè caldo, nè freddo. Il microclima è ottimo in ogni stanza.
La polvere l’ho tolta ieri, non ti puoi certo lamentare.
Ci sono angoli ovunque, asciutti, in penombra, rassicuranti.

E allora perché vieni a meditare incautamente
proprio sul muro sopra al mio cuscino, o RAGNO?

Spider: perché io sono io, cara.
Gatto: tu sei tu se non ti avvicini troppo. Altrimenti eri.

Tenaglie

“Tenaglie” le chiama il russo Natalinsky. O almeno, quando ero piccola mi ha insegnato a chiamarle così.
Il resto del mondo le chiama “forbicine”. E non mi fanno per niente paura.
Ho cercato sul web il nome della specie di tale insettino e ne ho scoperto delle belle.

Prima di tutto come si chiama: Forficula auricularia. Notevole.
E poi: “Frequenta anche gli ambienti antropizzati e può rinvenirsi frequentemente anche all’interno delle abitazioni in campagna.”
Non solo: si rinviene molto frequentemente all’interno dell’abitazione del Gatto Interiore – che la campagna se la sogna se non ha voglia di percorrere almeno 30 chilometri – per via della legna. Il Gatto possiede e utilizza una stufa a legna e ne gode parecchio. Cosa ci posso fare se i pezzi di rovere occultano tenaglie clandestine?
Ancora: “La femmina produce circa 50 uova che nasconde in autunno in un nido sotto terra (nei miei vasi, evidentemente), quando entra in uno stato di letargo.”
Ma quandomai? A giudicare dal viavai di tenaglie sulla terrazza direi che tali animaletti si sentono ancora in una specie di agosto interiore. Altro che letargo.
Ed infine: “I maschi hanno due peni indipendenti e perfettamente funzionali“.

Buonanotte.

Fobie 3 – Ho ragione!

Ricerca della Carnegie Mellon University of Pittsburgh

La paura dei ragni per le donne è genetica.
L’aracnofobia sarebbe più diffusa nel gentil sesso per ragioni evolutive.
(Corriere della Sera on line, 28 Agosto 2009)
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Discorso chiuso.

Il millepiedi

Sposto le scarpe e parte come una saetta
verso l’oscurità remota di un angusto angolo.
Pensando di fregarmi.
Lui non sa chi sono io.

Fobie 2 – Dal punto di vista del ragno

Eccola! Ma allora non aveva finito, ieri sera.
E’ finita. Stavolta ci siamo.

Mi ricordo che più di un anno fa, era arrivata una signora piccolina dalla faccia simpatica che però puliva come una furia. Un uragano. Di solito era lei che si occupava di noi, nonostante la casa non fosse sua ma della figlia. La figlia che sarebbe poi questa qui che ha appena messo fuori la scala sulla terrazza. Una tipa che te la raccomando. La signora, almeno, usava il classico spazzolone di setole sintetiche e colorate. Era sempre un rischio, certamente, ma così era tutta un’altra cosa: una specie di avventura.
Vedevi arrivare lo spazzolone lungo una traiettoria un po’ malferma e inframmezzata da colpetti di assestamento e in qualche modo riuscivi a scappare.
Quando la signora ti metteva all’angolo, confinandoti in coordinate priva di vie di fuga avevi almeno due soluzioni: o sbavavi velocemente un bel filo di seta scendendo in caduta libera fino al pavimento o ti lanciavi arditamente sul nemico aggrappandoti allo spazzolone e penetrandone velocemente gli spazi tra le setole per evitare di essere schiacciato.
In quest’ultimo caso, spesso, alla fine dell’attacco, un violento strattonamento precedeva la tua definitiva fuga: malconcio ma salvo. Le vittime erano veramente poche. I più tanti, quelli rimasti nel raggio di massimo pericolo o quelli feriti, si accartocciavano e facevano finta di essere morti per poi scappare a gambe levate non appena l’attenzione della signora si fissava altrove.

Questa invece?
La pazza si è presentata con un aggeggio infernale, rumorosissimo. E letale.
La paura la spinge a soluzione estreme, mi rendo conto.
Ma qualcuno potrebbe dirle, per cortesia, che può anche sfrattarci e sequestrarci le tele senza eliminarci dalla faccia della terra?
Si arrampica su quella vecchia scala, appoggia le ginocchia al secondo scalino, osserva con aria preoccupata la zona da bonificare, poi impugna il manicotto flessibile brandendo quel ridicolo tubo telescopico, accende la macchina satanica e ci attacca.
Inizia sempre dalla periferia della ragnatela: non so se lo fa per lento sadismo o se, effettivamente, gira un po’ intorno al problema perché si sente a disagio a farci fare una brutta fine.
Mi fa anche un po’ tenerezza: vuole fare la dura ma, mentre ci aspira, ha lo sguardo zuppo di sgomento.

Comunque, va in giro, si, dicendo che le dispiace ucciderci, ma intanto riaccende quel tifone centripeto e ci destina ad un buio e fatale limbo, povero di ossigeno, pieno di polvere, capelli, briciole di chissà cosa e tele completamente aggrovigliate.
Un cesso di posto, veramente.
Ma allora che ci schiacci e amen!
Come quando ti riduce a fin di vita nel tentativo di catturarti vivo e poi ti lancia fuori dalla finestra convinta di aver fatto una buona azione: lanciato in uno strapiombo di 4 o 5 metri con cinque gambe rotte su otto! E magari passano ancora venti buoni minuti prima che giunga un’automobile a finirti con una veloce e pietosa passata di pneumatico.

Ho sentito dire che i piccoli li risparmia perché non le fanno troppa paura.
Forse è una cucciola anche lei.

Fobie del solstizio d’Estate

Solo a leggere la parola mi parte l’input nervoso per l’orripilazione.
Ragno. Ragni.
Una parola onomatopeica per iscritto.
Cinque lettere che evocano l’Abisso.
Patisco anche un po’ i serpenti, le bisce e tutto ciò impunemente e subdolamente striscia.
Ma il rettile ha un suo perché, benché remoto, che lo investe di mistero e di vitale sensualità.
Il ragno è orrore puro. E’ quello che senz’altro ti attraversa il lenzuolo, in prossimità delle costole – se va bene – la notte, mentre tu te la dormi ignaro.
Il ragno è silenziosa violazione del tuo spazio. E’ pedante strategia, subdola trappola. E’ quello che ti colpisce perché sbagli tu. Tu che hai scambiato per pizzo o luccicante cristallo una setosa letale ragnatela.
E questa è il segno dell’immobilità e della stagnazione, del vuoto e dell’assenza. Non sto a spiegare il concetto, mi sembra ovvio.
Il ragno è il trait d’union tra il mondo onirico e l’angolo della tua stanza.
Il ragno è il grumo mobile delle tue paure.

Oggi ne ho stanati diversi, grazie al tubo telescopico chilometrico dell’aspirapolvere di mia cognata.
Il mio non ce l’ha. Domani compro l’aspirapolvere come il suo.
Un po’ mi facevano pena: non dovrebbero fare una brutta fine, come nessun essere vivente non dovrebbe mai fare una brutta fine, solo perché io ne ho il terrore.
Ma come si dice? Mors tua, vita miao.
Sarebbe più etico e naturale se finissero nel tubo digerente primitivo di qualche arcaico predatore dalle brutte sembianze (uno che si ciba di aracnidi deve essere l’immagine stessa dello schifo, l’incarnazione dell’incomprensibile, il Male).

Mi procurerò una colonia di gechi. I gechi mangiano i ragni?
Poi, però, avrei paura dei gechi. No.
Forse le lucertole? Le lucertole sono graziose..
Forse li mangia anche lo squarcababbio?
Lo squarcababbio è brutto quanto basta, ma mi è simpatico e mi libererebbe altresì delle zanzare: unica specie vivente verso la quale non nutro alcuna pietà.
Domani chiedo a Don Natal.

Il Ragno

impacchetta bene la preda.
E poi la lascia un pò lì.

l’Araba Fenice

Se mi fermo un attimo, è solo per prendere meglio la rincorsa.