Ma sono capace a farmi una promessa, dico una?
È così difficile deragliare dal solito binario?
Ma di quali altri segni ho bisogno?
Cerco di dormire va.
Sono tutta uno spreco di energia.
Buonanotte gattacci.
Categoria: manfrine
Pit stop
La temperatura si è decisamente abbassata. L’estate è andata.
Ricompaiono i soliti personaggi lungo la banchina della stazione.
I pendolari hanno già le giacchette impermeabili.
Tutti, questa notte, hanno fatto un mezzo cambio dell’armadio.
Certamente, molti, con un certo compiacimento.
Oggi è il 31 agosto per pura formalità. Sembra un fine settembre di quei settembre classici. Di quelli in cui, tra uno sguardo alla strada bagnata e uno al cielo scuro, intarsiavo piccoli entusiasmi progettuali. I propositi per il vero inizio dell’anno, che culminava in primavera e iniziava a decadere in estate.
Ho sonno. Ho bisogno di dormire.
Ho bisogno di un tot di giorni profondamente selvaggi, di barbonaggio spinto, di isolamento totale, di regole esplose, di corpo messo in condizioni di urlare le sue reali necessità.
Un periodo di abbrutimento terapeutico.
Tanto per ritualizzare il ritorno all’essenza.
Ore di sedute insensate nel silenzio profondo, ai confini del niente, tangenti quella cosa che ci spaventa e ci fa sentire diversi.
Tutti possiamo raggiungerla, tutti la neghiamo.
Negando, così facendo, la parte più reale di noi stessi.
Sono spaventata ma pronta ad affrontare il guardiano più temibile: quello che è sempre stato, apparso, palesato. Quello che ci hanno sempre detto, quello che abbiamo sempre creduto, tutte le esperienze indotte da modelli a noi precedenti che originano spaventosi interventi risanatori da parte del nostro spirito: la mente e tutti i suoi scagnozzi.
Il medium indispensabile per intesserci robustamente nella trama della coscienza comune.
Voglio un autentico ritiro.
Un mese sabbatico senza obblighi, senza orari, senza condizioni, senza parole, senza scambi con alcuni che non siano le mie sagge e silenti sfingi di pelliccia.
Poca musica. Molto silenzio. Poche auto, molto vento tra gli alberi, come nei migliori cliché. Poche voci, molto gorgoglìo di acque libere e fredde e inesorabilmente correnti.
Fare niente. Fare niente e stare.
Stare semplicemente. Non mi serve altro.
Solo così posso sperare di udire ancora la mia vera voce.
Perché c’è. Lo so che da qualche parte, sotto tutti questi infiniti rumori sovrapposti, lei c’è.
Chi se la sente di dirmi che non c’è bisogno della grotta e la pelle di leopardo per compiere questa suprema magia?
Senzatetto sotto il tetto
Credo sia capitato (quasi) a chiunque di fare del barbonaggio casalingo.
Che cos’è il barbonaggio casalingo?
Non mi riferisco alla sciatteria congenita di chi crede che vale la pena avere un’aria dignitosa soltanto trovandosi per forza fuori dalle proprie quattro mura o all’interno di esse al cospetto di qualche ospite, intimo o no.
Mi riferisco a certi periodi in cui per un certo motivo, l’entità dello stallo mentale o una certa condizione emozionale sono tali da paralizzare quasi ogni iniziativa.
A partire dal piacere fino ad arrivare ai doveri.
E si diventa un po’ barboni a casa propria.
I motivi possono essere diversi. Si va dal classico mal d’amore con o senza sindrome dell’abbandono, alla crisi di inerzia dettata da un’insoddisfazione più o meno generica che, in quel momento, appare irrisolvibile.
La gente per cose simili, a seconda della caratura della propria forza interiore, beve, si droga, spende tutto, mangia fino a scoppiare o non mangia affatto, trascura la casa fino a farla diventare una specie di Victoria & Albert Museum in decadenza.
Oppure fissa il vuoto, talvolta piange e, per coerenza, si imbruttisce.
Quest’ultima terzina è la mia specialità. Insieme alla magazzinizzazione della casa, alla ripostiglizzazione globale dell’appartamento, che mi riesce bene anche in situazioni di benessere. Solo che nei momenti buoni la giustifico dicendo che sono un’artista. Che non è neanche vero.
Comunque non molto tempo fa, ho passato un breve periodo in cui il solo varcare la soglia di casa da out a in mi trasformava seduta stante in una specie di mentecatta. Al momento della transizione in – out, naturalmente, accadeva il contrario e riprendevo sembianze civili.
Alla faccia del feng shui ho cambiato l’uso delle stanze con un criterio casuale, totalmente privo di senso, ritrovandomi a fare cose in luoghi non usualmente consoni, sedendomi per terra a caso con la scusa di far giocare i gatti e, soprattutto, ho dormito per più di una settimana sul divano, con indosso una tuta, un trapuntino e qualche occasionale felino sulle gambe.
Però con la testa sempre a nord.
Ci ho messo un po’ a capire che se si non usa dormire sul divano è perché dormire nel letto è molto più comodo. Avevo i sensi un po’ ottusi, diciamo. Pero ho involontariamente infranto alcune mie maniacali abitudini. (E, per questo, non sono nemmeno morta!)
Un’altra cosa simpatica, in certi pomeriggi, è stata quella di organizzarsi la Sacra Ora per Sè (ma anche due o tre) posizionando accanto alla poltrona tutto il necessario per sprofondare nel proprio mondo interior-intellettuale ovvero libri, tablet, computer, telefoni, té al bergamotto, carte astrali, matite, fazzoletti, stufa accesa e riviste. Per poi restare incantata in un malmostoso vuoto con lo sguardo sbarrato sul niente nemmeno idoneo per eventuali meditazioni. Questo per innumerevoli quarti d’ora in cui la parola “azione” pareva scritta nel mio psicodizionario con il limone. E la fiamma lontana anni luce.
Gli effetti di questa clocharderia occasionale si vedono ancora adesso.
Perciò imbraccio lo swiffer e parto. Buona serata gatti.
Natale Con Chi Vuoi
Mi accorgo ora, ora mentre metto la sveglia per domani mattina,
che siamo al 5 di dicembre. E che tra una ventina di giorni è Natale.
Guardate non mi viene nemmeno voglia di studiare qualcosa per celebrare – magari scrivendone come ho sempre fatto – il Sol Invictus.
E dire che questo sarebbe l’anno giusto per celebrare, ratificare, evidenziare una rinascita.
Come diavolo faccio a trascendere la mia povera mente, l’agglomerato dei ricordi che ora, in mancanza di una materiale progressione nel tempo, tornano quelli di quando ero bambina.
Bambina proprio forse no, perché il censore sulla mia memoria ha la mano pesante.
Comunque ho il diritto di lamentare mancanze.
E ho il diritto di avere la necessità di una Home che vada oltre i miei gatti.
E contestualmente ho il diritto di rifiutare pseudo-famiglie pseudo-acquisite
sulle quali non mi dilungo troppo per necessaria riservatezza.
E allora cosa farò?
Farò un Natale Con Chi Vuoi.
Magari vado a trovare gli Amati qualche giorno prima, giusto per ritualizzare. Sempre che non ci sia un metro di neve sulle strade.
A proposito, devo ancora cambiare le gomme.
Buonanotte phelini.
Averci il pane
e non averci i denti.
Guardare in alto
ed essere bassi.
Voler piantare un chiodo
e brandire una piuma.
Cose così.
Passi avanti per tornare indietro
Tutte le parole che non ho detto
tutti gli abbracci che non ho dato
tutto quello che non ho osato.
Era tutto leggero, nel mondo delle legittime possibilità.
Ora è pietra che mi zavorra
E’ polvere che mi spegne
Ora è quella cosa vacua, cupa e terrificante
chiamata Tempo Perso.
Il perdono che non mi concedo è la mia vera sofferenza.
Ho un’ottima opportunità per allenare
volontà, disciplina e fermezza.
Facendo cose per me difficili:
togliere il cibo, razionare l’acqua
dimezzare il tempo, restringere lo spazio.
Coltivare il vuoto,
dilatarlo con il silenzio.
Ingrandire cenni di assenza
in un perverso gioco di falsa libertà.
Mica per strategia. (Strategia per cosa?
Per conquistare un alieno?)
Giusto per riprendermi uno scampolo di dignità.
E riportare le cose al giusto livello.
Avrei preferito farlo alla mia maniera:
con coerenza, chiarezza e sincerità.
Con la voce, con le mani, con lo sguardo terso.
Ma se ci piacciono questi modi di superficie
facciamo pure finta di niente.
Intanto imparo qualcosa.
Far del teatro può avere il suo perché.