Tempo

tempo

“Comincio oggi. Tanto, un giorno vale l’altro.
Il giorno ‘è’ perché lo abbiamo inventato noi.
La mia vita è un giorno intero. Ed io ne sto esplorando la notte.
Mi chiamo Anna e questo diario è mio.-

(Questo è l’inizio di un vecchio racconto mai terminato..)

Carissima amica,
è proprio così: le ore, i giorni, gli anni, sono tutti quanti soltanto attimi.
Attimi brevi come il lampo o lunghissimi, come certi sospiri che non finiscono più.
Il tempo è nemico ed alleato e lascia il suo segno su di noi, abbruttendoci per una vita vissuta poco e male, o impreziosendo i nostri sguardi di una nobile consapevolezza.
La vita è una singola unità dove si alternano inverni e primavere, notti inquiete e giorni splendenti.
Notti lunghe di anni, giorni di poche ore.
Autunni approssimati e torride sconfinate estati.
Un anno in più non esiste.
E’ solo un sistema. Per controllare, di tanto in tanto, a che punto stiamo.
Ti auguro che il viso ti si segni per troppo sorridere.”
Buon compleanno Trippi
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Lettera di auguri scritta per il compleanno di una vecchia amica, spuntata tra pacchi di memorabilia rovistati oggi, in un accesso compulsivo di space clearing.
Quando il Gatto era parecchio giovane e sul Tempo pareva saperla lunga.
In realtà il segreto è che non aveva ancora superato i 30: si fa presto a fare i saggi, a quell’età. Soprattutto se sei una blaterona che ama scrivere.
Descrivevo la relatività e la soggettività del tempo omettendo la cosa fondamentale: non sono verità da constatare, ma da cavalcare e dirigere per fare di se stessi un capolavoro di esperienza.
Dopo quasi vent’anni, rileggo queste cose poi fisso il muro attonita, chiedendomi dove mi si è impigliata la giacchetta.
E perché non ho mai finito i racconti.

Il Tredici

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– Sermone sul Senza Nome (solo per chi non ama cabale e scaramanzie). –

Il titolo del post avrebbe dovuto essere Memento Mori oppure appunto il vero nome del XIII Arcano, detto l’Arcano Senza Nome.
Ma siccome vorrei evitare che i lettori maschi si ravanino compulsivamente nelle mutande e le lettrici evitino di andare a toccare metalli in giro (che col freddo che fa in questo periodo, a molte di noi femminucce ci viene il Fenomeno di Raynaud e poi ci tocca tenere i guanti di lana e seta anche in cucina, oppure prendiamo la scossa), lo chiameremo il Tredici.
Perché anch’io a scaramanzia non sto affatto messa male: se ho una paura (non ditemelo che non sono l’unica perché LO SO) è proprio di finire anzitempo tra le braccia del Tredici.
Sta di fatto che, curiosamente, col Tredici ho un rapporto di concettuale confidenza. Specie dopo gli ultimi suoi soggiorni in famiglia.
Ma, soprattutto, – è questo ciò che vorrei dire e illustrare, incrociando tutto l’incrociabile – dell’idea del Tredici mi servo per fare cose.
Cose difficili come quella descritta nel precedente post.
In concreto, riflessioni risveglianti che mi tolgano dal torpore di certe giornate in cui, di sonnolenza parlando, l’unica differenza tra ciò che faccio di notte e ciò che faccio di giorno è che di giorno lo faccio in posizione eretta. O seduta, se sono in ufficio.

Non ricordo mai i sogni. Ma le poche volte che mi restano in mente rivelano, ultimamente, una frequentazione assidua della sottoscritta con individui (di onirica sostanza, ovviamente) del club presieduto dal Tredici.
La cosa non é che mi esalti troppo. Diciamocelo.
Al limite può farmi pensare che di fatto, in qualche altrove, il Tredici non funzioni come funziona qui e perciò potremmo starcene tutti tranquilli senza fare scongiuri inutili.
In realtà credo che, durante il sonno, i miei neurotrasmettitori facciano spettacoli e prove di teatro tanto per non darmi l’idea di stare a perdere del tempo in quelle 5/6 ore di riposo che mi concedo ogni giorno.
E allora ripescano memorie, le riarrangiano un po’, e già che ci sono mi ammansiscono con questa storia di una presunta immortalità.

Qualunque sia la verità sulla natura dei sogni, nella vita propriamente detta il Tredici è uno spauracchio. Una rottura di palle inevitabile. Una tragedia greca, per tutti.
Soprattutto, per chi non vive pienamente.
Curiosamente, proprio per questo motivo è un prezioso alleato.
Scrivo questa cosa perché poco fa ho letto da qualche parte una frase tipo “agisci come se questa fosse l’ultima ora/l’ultimo giorno/l’ultimo mese…”.
Capite che c’è da dare i numeri.

Cose simili si leggono ovunque: escono dalla spremitura delle storielle di ogni credo religioso e/o filosofico, si trovano come frasi in grassetto nei manuali di auto-aiuto della nuova spiritualità, nei titoli pubblicati sui blog di formazione dei manager e/o venditori rampanti.
Cioè, cosa ci starei a fare io qui a stirare, me lo dite?
Quale corto circuito sinaptico mi porterebbe, come di fatto mi porta sempre, a puntare la sveglia alle 6,23 di ogni domani mattina per recarmi, a foggia di zombie, negli uffici dello Zoo Criminale (mentre con la coscienza mi rotolo al sole a Saint Tropez quattro mesi più in là)?
CON TUTTO QUELLO CHE HO DA FARE?
Con tutto quello che vorrei fare.
Con tutto quello che voglio fare davvero.

C’è un problema: che se ragioni così e agisci davvero di conseguenza, il primo che riesce a catturarti ti porta alla neuro.
Sei la cellula impazzita che crea disordine.
Che ricorda a tutti gli altri che non stanno mica vivendo. Stanno, come minimo dormendo. Allora sei da abbattere. Perché il sistema di difesa che utilizzano non dice loro che stanno dormendo, ma che tu sei uno strano, potenzialmente pericoloso e che se non arrivi a contaminare i normali finirai come minimo a fare del disdicevole barbonaggio. E sulla panchina della stazione, tu non ci piaci.
E tu, siccome anche se proclami il contrario, ci tieni alla stima altrui (e non uso la parola giudizio perché sono stufa di sentirla), al salvagente che la mamma e il papà e la maestra ti hanno infilato qualche tempo fa, capitoli irrimediabilmente nelle corde della maggioranza e ti consoli pensando che intanto c’è tempo.
E invece no. Relativamente parlando, di tempo non ce n’è!
Non quanto la nostra mente parrebbe promettere con tutti questi fiumi di proiezioni future sulle quali surfiamo aspettando il magic moment.
Il magic moment per noi normali è sempre Domani.
Domani, quando smetterà di nevicare, domani quando arriverà lo stipendio, domani quando sarò dimagrita, domani quando mi arriverà quel fantastico libro in cui c’è scritto che il Domani mica c’è. C’è solo l’Adesso. Anche se l’Adesso che c’è scritto là, lo leggerò domani.
Dicono che il magic moment è Adesso.
Io l’ho capito con la testa, davvero.
Ma normalmente decido di pensarlo domani.
Quel che non penso comunque a sufficienza è che il Tredici è ovunque, e allo stesso tempo, sempre ad un braccio da te, come dice Don Juan.
Vurria mai che inciampo e ci finisco vicino.

So bene che sono la centomilionesima persona che scrive queste cose. Ma è una lezione, questa. Una lezione per me.
Per me che sono un’accidiosa da competizione, un’indolente da fumeria d’oppio.
Il Tredici ha mille maschere, si declina in mille versioni, con o senza optionals. Impossibile fregarlo.
L’unica cosa sensata è stare all’occhio e rubargli tempo.
Perché il tempo è elastico e questo è molto chiaro.
In pratica, …

(Fine prima parte – non per creare curiosità o aspettative ma semplicemente perché non ho mai terminato il post che giace nelle mie note da una settimana almeno) (e ve lo propino lo stesso).

Vite

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I palazzi del ‘600 e le memorie di secoli incastonate negli interstizi erosi dal tempo.
Le nostre vite, un refolo di vento.
La via Appia scandita da ciottoli millenari, su cui vibrano ancora i calzari di coloro che fummo.
Le nostre vite, un solo respiro.
Gli alberi e le colline. E la terra, memore di infiniti passi.
Le nostre vite, un velocissimo gesto.
Le grandi opere che sanno parlare la lingua di ogni tempo.
Le nostre vite, un filo sottile.
I frutti dell’Uomo, la traccia eterna.
Le nostre vite, anelli di una lunga catena.
I mondi nel Cielo, le galassie, le stelle.
Le nostre vite, materia preziosa di un’istante.

Visioni

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“Evoluzione.
Ho avuto proprio stamattina una specie di scoperta su questo ma non saprei descriverla. È ancora fresca. La nota più evidente è che io sto osservando tutto. Tutto. Anche me. E anche il tempo da prima che nascessi. Va be’. Non so dire.

C’è una specie di trama a più dimensioni. Tutto è un magma apparentemente indifferenziato.

I confini della forma sono illusori. Non so dimostrarmelo ma comincio a sentirlo.

E tutto si muove continuamente senza posa. I famosi fotogrammi li facciamo noi con l’apparato tridimensionale (mente) che non può contenere il divenire se non infilzando le varie sfaccettature della realtà in un filo chiamato tempo.

Le memorie non possono essere vive.

In questo senso non esistono. Ma all’interno dell’umano (la sua parte nella materia, la mente e l’evoluzione del corpo) necessariamente hanno un peso.”

E ti fissano sul fondo dell’Abisso.

Misfit

misfit
In mezzo ad una serie di disegni, una pagina di foglio formato protocollo senza margini.
Tratto piuttosto pesante, stretto, pieno e comunque fluido.
Inchiostro nero. Scritto privato, in italiano “non sorvegliato”.
A giudicare dalla calligrafia, sembrerebbe risalire ai primi anni 90.

“Non riesco a seguire la quotidianità sociale e mondana come fanno tutti, progettando a mia volta, per me stessa e per le mie tappe, avanzamenti e prese di posizione di tipo convenzionale.
Il tempo scorre ad una velocità diversa.
Il mio calendario si cardina su aspetti completamente diversi, avanzando su gradini dall’altezza irrazionale e in tappe dalla durata variabile.
La mia vita è come una moviola dove lentezze estenuanti si alternano in fasi in cui il moto precipita e fugge proiettando il film ad una velocità impazzita. Cade in un impulso irrefrenabile.
Mi sento avanti interiormente ed indietro sul lato pratico.
Proseguo intenta nei miei stretti e profondi sentieri, nelle mie trincee.
Dove nessuno mi scorge.
da dove riemergo apparendo in altri tempi ed in altri luoghi, nascondendo involontariamente l’effettivo percorso ed impedendo la piena comprensione dei miei movimenti da parte di altri.
Vivo bene questa dimensione parallela perché è l’unica che mi avvicina maggiormente al perché delle cose.
Senza un simile costante interrogativo nulla avrebbe senso.
Un giorno capirò che non devo per forza capire e vivrò in pace.
Concepisco il silenzio soltanto in presenza di Dio. O meglio, quando mi rendo consapevole della sua presenza nel qui ed ora di un normalissimo pomeriggio in campagna, o davanti ad un albero, di fronte al mare, o abbandonata al calore del sole.
Per il resto, studio, penso, mi spremo all’inverosimile, immagazzino informazioni di ogni genere sperando che l’accumulo possa un giorno esplodere in una pioggia d’oro che mi rivesta l’anima e la coscienza.
Continuo ad avere la vecchia sensazione di seguire una strada con gli occhi bendati senza sapere dove mi porterà.
Continuo a percepire l’avvicinarsi di un momento di gloria che attendo stupidamente senza capire che già ora potrei trovarmi nel bel me…..”

La pagina termina. E la parola “mezzo” si può facilmente intuire. Chissà come andava a finire.
Sono cambiate molte cose.
A Dio sono state precisate ulteriormente caratteristiche, struttura e collocazione.
I momenti sacri di comunione con il tutto persistono, anche se radi, e, insieme ad un paio di altre cose, sono decisamente il mio salvavita.
Il lamento del sentirsi invisibili e fondamentalmente soli nel proprio percorso, che scritto così implicava una speranza di fusione non dichiarata, è diventato una condizione reale ed inevitabile.
Sull’attesa del Momento Giusto, per fortuna ho cambiato idea.
Anche se sul lato pratico, oggi come oggi tutto ciò mi significa sforzo sovrumano.
Vorrei essere più precisa. Ci sarebbe qualche altra interessante teoria.
Interessante perché, contrariamente al solito, è stata postulata successivamente all’esperienza.
Ma per i motivi descritti da qualche parte nei commenti ve la risparmierò.
Ho altri foglietti da trascrivere.
Rileggerli è divertente ed inquietante insieme.

E’ arrivato il freddo. Ci si rattrappisce ulteriormente.
Avvicinandoci al centro, che, tanto per cambiare, brucia.
Buona giornata gatti.